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Canapa come materia prima alimentare: overview e normativa
Canapa è il nome di cultivar selezionate di Cannabis Sativa L., ssp. Sativa (altre sottospecie sono Indica e Ruderalis).
Dal punto di vista botanico è una pianta annuale, dicotiledone, con metabolismo C3, fusto eretto, radici fittonanti, alta fino a 4 metri e con riconoscibili foglie palmate (Fig. 1) [1].
È una pianta dioica (quindi con piante maschio e piante femmina), ma il lavoro di miglioramento genetico ha portato all’ottenimento di varietà monoiche altamente produttive [2].
Diffusasi inizialmente come coltura da fibra, attualmente le applicazioni sono numerose e diversificate, spaziando dall’alimentare alla cosmetica, dall’automotive all’edilizia, fino alla riqualificazione di terreni inquinati (Tab. 1) [3].
Il difficile rapporto della canapa con le istituzioni iniziò nel 1961, quando il possibile contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) portò all’inserimento della Cannabis nella Single Convention on Narcotic Drugs.
In Italia due leggi (412 del 1974 e 685 del 1975) ne proibirono la coltivazione senza distinzione tra varietà.
Solo successivamente la legge 162/1990 e il DPR 309/1990 identificarono la Cannabis ad uso ricreativo con le varietà a contenuto di d9 THC >2%.
La coltivazione della canapa a scopi industriali divenne quindi un argomento complesso, ma dopo un lungo periodo d’abbandono questa coltura è stata finalmente rivalutata.
La versione consolidata del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea riconosce la canapa come soggetto per le politiche agricole comuni e la PAC ammette i produttori di canapa a sussidi e pagamenti diretti [6].
Le varietà certificate, con un contenuto di THC inferiore allo 0,2%, sono 75 e contenute nel database europeo delle varietà vegetali.
Si è passati quindi da un regime di totale repressione ad una appropriata regolamentazione della coltivazione della canapa, per arrivare negli ultimi anni alla sua promozione.
Importanti in tal senso la legge italiana n. 242 del 2 Dic. 2016 ma anche leggi regionali come la n. 1 del 28/02/2017 della regione Lazio (oltre Campania, Veneto e recentemente Piemonte).
Nonostante i progressi però, manca ancora un’armonizzazione delle normative internazionali per il commercio dei prodotti canapicoli, soprattutto per i prodotti alimentari.
Basilare sarebbe una chiara definizione del contenuto di THC ammissibile, che possa far sentire al sicuro i consumatori ma dia anche garanzie ai produttori.
In Europa, ad oggi, solamente Germania ed Italia hanno una legge in tal senso. Nel nostro Paese il Ministero della Salute con il decreto del 4 Nov. 2019 fissa il contenuto di THC a 2 mg/kg in semi e farina, 5 mg/kg nell’olio e 2 mg/kg negli integratori alimentari.
Composizione chimica ed aspetti nutrizionali e funzionali
I semi sono l’unica parte della pianta di canapa considerati edibili e sono una ricca fonte nutritiva (Tab 2).
Il loro valore nutrizionale è conosciuto da tempo, nel dettaglio i semi di canapa:
- Sono caratterizzati da un elevato contenuto proteico, che varia tra 21.3 e 35.6 g per 100g di semi [7], [8]. È maggiore di quello di altri semi ampiamente utilizzanti in prodotti alimentari come chia o sesamo (che raggiungono circa il 17%) e paragonabile a quello dei legumi, fatta eccezione per la soia, e di semi oleosi come girasole, arachide, e lino [9], [10]. I semi di canapa possiedono tutti e 9 gli amminoacidi essenziali, con un gran contenuto di amminoacidi solforati e un rapporto tra amminoacidi aromatici e amminoacidi ramificati molto vicino a quello della soia, favorendo un buon metabolismo muscolare e l’omeostasi proteica [11].
- Possiedono un contenuto lipidico pari al 25-35% in peso. Nonostante la resa di circa 300 kg di olio per ettaro sia inferiore rispetto ad altre colture, l’olio di semi di canapa si distingue per una composizione in acidi grassi polinsaturi/saturi particolarmente favorevole per l’uomo (rapporto tra 6 e 8) [12] [13]. Inoltre, a differenza di altri oli di semi, possiede un ottimo rapporto in acidi grassi essenziali ω6: ω3. Il rapporto è di circa 3:1, tale rapporto rappresenta esattamente la corretta proporzione che bisognerebbe assumere giornalmente nella nostra dieta, troppo spesso sbilanciata verso gli ω6. Diversi studi hanno dimostrato gli effetti positivi dell’assunzione di olio di semi di canapa per patologie come artrite reumatoide, sclerosi multipla, dermatiti ma anche nel migliorare l’aggregazione piastrinica[14] [19].
- Completano il profilo nutritivo il basso contenuto in carboidrati, l’alto apporto di fibra, il basso contenuto di sodio e il buon contenuto di micronutrienti quali vitamina E, ferro, fosforo, zinco manganese e alcune vitamine del gruppo B (Tiamina, Niacina e Riboflavina) [18], [20].
Diversi studi hanno anche evidenziato le proprietà nutraceutiche dei semi di canapa, soprattutto in relazione all’attività di alcuni peptidi bioattivi o composti ad azione antiossidante presenti nell’olio [21] [23].
Quale fonte alimentare vegetale è giusto infine porre l’attenzione sul contenuto in composti antinutrizionali.
Nei semi di canapa sono contenuti inibitori della tripsina, acido fitico, saponine e tannini condensati ma mai in concentrazioni preoccupanti per la salute umana né a livelli superiori rispetto a quelli di altri legumi o pseudocereali [24], [25].
Applicazioni e valore di mercato dei prodotti alimentari
Complici le ottime proprietà nutrizionali, molti sono i prodotti ottenibili a base di semi di canapa.
I semi possono essere consumati tal quali (ad esempio in Medio Oriente vengono tostati e mangiati come snack) o sgusciati (Fig. 2) per condire insalate o guarnire prodotti da forno.
Dalla spremitura si ottiene un olio dal vago gusto di nocciola, ottimo da usare a crudo ma delicato e non indicato per la cottura, dato soprattutto il considerevole contenuto di acidi grassi insaturi.
La farina, inizialmente considerata un sottoprodotto della spremitura dei semi, trova applicazioni in diversi prodotti da forno [26] [28].
Diversi studi ne hanno valutato le proprietà in prodotti gluten-free e tradizionali dove la farina di canapa migliora generalmente il contenuto di fibre e nutrienti, riduce l’indice glicemico e riduce lo sviluppo di batteri e muffe in pani a lievitazione naturale.
Importante, per gusto e proprietà reologiche, è attestarsi tra il 10 e il 20 % di sostituzione della farina, anche se qualcuno ha raggiunto il 30% [29] [31].
I semi possono inoltre essere utilizzati nella preparazione di bevande alternative al latte (non è allergenico) e nella mangimistica, dove è stato riportato un miglioramento del profilo nutrizionale dei prodotti ottenuti (carne, latte e uova) [32] [34].
Interessanti applicazioni riguardano anche le proteine isolate, da utilizzare in snack proteici ed energy-bar.
Probabilmente è questo uno dei settori a più rapida espansione poiché dei 246 prodotti a base di canapa lanciati globalmente tra il 2008 e il 2017 più del 40% appartengono a questa categoria.
Sebbene i territori coltivati a canapa siano in crescita in Italia così come in tutta Europa, ci sono ancora buone possibilità di crescita per il settore agroalimentare italiano, poiché la bilancia commerciale è ancora fortemente spostata verso l’import dal momento che consumiamo più canapa di quanta ne produciamo.
Conclusioni
Con un quadro normativo complesso ma in via di definizione, la canapa è una coltura polivalente dalle caratteristiche nutrizionali favorevoli e un ridotto impatto ambientale. La sfida è quindi aperta per consumatori e aziende che vogliano scommettere su un’alternativa green.
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Salvatore Ciano
Laurea triennale in biotecnologie agro-indutriali, magistrale in scienze e tecnologie alimentari e dottorato di ricerca in Commodity Sciences presso Sapienza università di Roma. Speaker a conferenze, autore e revisore di pubblicazioni scientifiche, ha la passione della chimica analitica applicata agli alimenti, e ne ha fatto il suo attuale lavoro.